La problematica della definizione della morte dell'uomo.

Le posizioni di un medico (Bonelli) e di un filosofo (Seifert): rilevanza per il "biodiritto"?
Problemi di Bioetica nella prospettiva della Filosofia del Diritto (Dr. Alexander Pytlik, Rom - Wien)

Deutschsprachige Anmerkungen zum Zeitpunkt des Todes in bezug auf eine Organspende.
Wie lange können und sollen Lossprechung und Letzte Ölung (Krankenölung) noch gespendet werden?
(Predigt von Mag. Mag. Dr. Alexander Pytlik, Eichstätt)

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(Padre Alex - Mag. Mag. Dr. Alexander Pytlik, Eichstätt)


INDICE GENERALE

INTRODUZIONE

I. LA POSIZIONE DI UN MEDICO (PROF. BONELLI)

1. La legittimazione di cercare nuovi criteri della morte

2. I caratteri essenziali dell'essere vivente: compiutezza, integrazione, identità

3. Come deve constare la morte per il medico?

4. La morte cerebrale (totale)

5. Conclusione di Bonelli: la morte cerebrale = la morte dell'uomo

II. LA POSIZIONE DI UN FILOSOFO (PROF. SEIFERT)

1. Questioni di competenza

2. Critica della definizione "morte cerebrale" per cause ontogenetiche, biologiche e filosofiche - incertezze principali di constatare la morte

3. L'ambiguità (filosofica e medica) del concetto "morte cerebrale"

4. Argomenti illogici per la "morte cerebrale" in base alla coscienza

5. Incertezze empiriche in riferimento al constatare la morte cerebrale "irreversibile"

6. Le radici probabilmente ideologiche della definizione "morte cerebrale"

7. Conclusione di Seifert: reintroduzione di una definizione classica migliorata

III. TENTATIVO DI UNA CONCLUSIONE CRITICA

IV. BIBLIOGRAFIA

V. ANNOTAZIONI


INTRODUZIONE

Nel 1840 Friedrich Carl von Savigny poté ancora scrivere: "La morte, come limite della capacità giuridica naturale, è un evento naturale così semplice che la stessa non fa necessaria (come la nascita) una determinazione più esatta dei suoi elementi."(1) Il legislatore si fidò della medicina che gli offrò anche un criterio giuridicamente utilizzabile con la morte clinica, cioè con il cessare del battito del cuore e del respiro.

Secondo l'opinione giuridica di oggi però, non importa né il cessare totalmente di ogni impulso di vita biologico né il cessare del battito del cuore e del respiro, ma solamente la "morte cerebrale". Il dibattito sulla donazione di organi dopo la "morte cerebrale" tra medici e teologi nella Germania, durante la fase preparatoria di una legge sui trapianti, ci mostra semplicemente la problematica di dover o voler definire il momento della morte. Nel progetto di legge fu interessante il fatto che venne evitata una definizione esplicita di questo momento. Il competente ministro della sanità sperò di sdrammatizzare così la controversia sulla "morte cerebrale". Comunque, la morte cerebrale venne prevista come momento a partire del quale sarebbe dovuto essere lecito un prelievo di organi. Contemporaneamente, il ministro volle conservare la necessità del consenso (Zustimmungslösung) cosicché i trapianti fossero stati soltanto leciti col consenso del possibile donatore oppure coll'approvazione dei più stretti parenti. Tutto questo fu il risultato di un compromesso politico tra il governo democratico-cristiano e l'opposizione socialdemocratica.

Anche il presidente della conferenza episcopale tedesca, Msgr. Karl Lehmann, prese posizione: non volle parlare di un obbligo di ogni cristiano alla donazione di organi. Nessuno, che si rifiuta a donare organi, deve essere moralmente condannato perché in linea di principio l'uomo non è un "magazzino di organi" per la collettività. Il vescovo appellò ai cittadini di decidere ai loro tempi (zu Lebzeiten) se sarebbero stati pronti o no di donare organi. - Il gruppo tedesco degli Europäischen Euthanasiegegner ("oppositori europei all'eutanasia") non fu convinto degli argomenti scientifici per dire che la morte cerebrale fosse infatti già la morte reale dell'uomo. Anzi, il prelievo di organi da moribondi sarebbe "uccidere a richiesta".

Basta già questo piccolo estratto del dibattito tedesco dell'anno 1995 per comprendere il problema e lo scopo di questo lavoro. Devo subito dire che per me l'entrare in questa problematica era abbastanza difficile, e tutto ciò che ho scritto nella "conclusione critica" resta piuttosto un "mettere in dubbio" (Infragestellen) che un risultato finale. A causa di questa incertezza ho parlato inoltre quasi contemporaneamente con un filosofo, con un giurista e con un medico, il che era un grande aiuto. Francesco D'Agostino ha giustamente osservato anche "le nuove e sottili difficoltà epistemologiche inerenti alla definizione scientifica stessa del momento della morte" tra le cause per il "disagio bioetico".

I. LA POSIZIONE DI UN MEDICO (PROF. BONELLI)

1. La legittimazione di cercare nuovi criteri della morte

Quando la medicina intensiva ha reso possibile il mantenimento artificiale della circolazione sanguigna e della respirazione per un periodo abbastanza lungo, è cominciata una nuova discussione sui criteri della morte, perché i soliti vecchi criteri non furono più utilizzabili nella prassi. Abbiamo perciò bisogno di criteri più sviluppati che ci aiutano a distinguere chiaramente la morte di un individuo dalla perdita di coscienza (irreversibile) di un uomo che vive ancora. Inoltre, a causa del danneggiamento rapido degli organi dopo il fermarsi del sistema cardiaco di circolazione (Funktionsausfall des Herz-Kreislaufsystems) andrebbe constatata il più presto possibile la morte realmente avvenuta del donatore.

Secondo i criteri vecchi, la morte biologica di un uomo è avvenuta se i segni certi di vita, come la respirazione e il battito cardiaco, sono scomparsi irreversibilmente. Questa scomparsa conduce infatti a un danneggiamento irreversibile del cervello fra 8 - 10 minuti, e soltanto la distruzione delle cellule cerebrali causa l'irreversibilità. Solo adesso si è potuto parlare della morte biologica, e anche oggi il medico constata normalmente la morte avvenuta dell'individuo, benché in questo momento potrebbero essere ancora viventi gli organi (tranne il cervello), e per un periodo corto il sistema cardiaco di circolazione (Herz-Kreislaufsystem) potrebbe essere riattivato attraverso la respirazione meccanica e la terapia con medicamenti (medikamentöse Herztherapie - p. e. adrenalina). Dopo la distruzione del cervello (p. e. a causa di un incidente automobilistico) sorge un irreversibile arresto della respirazione e della circolazione, però, il cuore resta vitale ancora per 15 - 30 minuti (senza rifornimento d'ossigeno), il polmone per 60 minuti e il rene per 120 minuti. In seguito avviene lentamente il morire di tutti gli organi e cellule, rimanendo la vita vegetativa-biologica di un gran numero di formazioni cellulari (Zellverbände).

Questo ci mostra, allora, che la funzione del cervello fu sempre di importanza, anche se il laico non lo seppe cosi coscientemente. Visti i problemi nelle unità di terapia intensiva (p. e. riguardo allo staccare della macchina respirativa - Beatmungsmaschine) e vista la possibilità dei trapianti, Bonelli vede la legittimazione "di cercare nuovi criteri della morte meno empirici, ma più esatti e così anche più indubbi." Criteri che devono ancora orientarsi alle manifestazioni della vita, perché possiamo determinare la morte soltanto indirettamente dall'esperienza della vita, cioè come la sua negazione.

2. I caratteri essenziali dell'essere vivente: compiutezza, integrazione, identità

Bonelli ritiene importante la distinzione della vita vegetativa (p. e. cellule "viventi" o organi isolati, il preparato cuore-polmoni) da un essere vivente. A differenza della vita puramente vegetativa, l'essere vivente si rivela sopratutto attraverso un'interezza (Ganzheit - un tutto), che sussiste definitivamente in se stessa. Questa definitività può essere caratterizzata attraverso tre criteri, cioè compiutezza (Abgeschlossenheit), integrazione e identità.

La compiutezza (Abgeschlossenheit) definitiva si dimostra da un lato nel non-essere parte di un'interezza maggiore e dall'altro nell'essere come un'interezza più della somma delle sue parti. Gli organi sono parti di un essere vivente, ma non rappresentano l'essere vivente stesso.

L'interezza definitiva si dimostra anche nel fatto che le funzioni di vita dinamiche (segni di vita!) possiedono un carattere di auto-organizzazione integrativa (integrative Selbstgestaltung), a differenza di cellule isolatamente viventi oppure organi. Se dunque parliamo di cellule od organi viventi oppure deceduti, intendiamo soltanto che essi sono ancora efficienti funzionalisticamente (funktionstüchtig), cioè trapiantabili (transplantationsfähig). Gli organi isolati trovano perciò la loro funzione e il loro scopo fuori di essi stessi: servono all'organismo e ricevono l'importanza dallo stesso. Sono rivolti sempre a un certo essere vivente, sono dunque soltanto mezzi per raggiungere un fine. Le diverse funzioni degli organi servono così all'auto-formazione (Selbstausformung - sviluppo) e all'auto-rappresentazione (Selbstdarstellung - mantenimento della vita) dell'essere vivente nel suo complesso (come interezza), esse rappresentano dunque questo carattere di auto-organizzazione (Sebstgestaltungscharakter). "Esse vengono ordinate tra loro nell'essere vivente da un principio di organizzazione immanente e unificatore, al servizio dell'unità superiore (... auto-integrazione)."

Un altro segno dell'interezza definitiva dell'essere vivente è la sua identità immutata nel corso dei tempi, come si può verificare in base al cambiamento di forma (Gestaltwandel), in base al metabolismo e anche nel caso di perdita della funzione di una parte. Nonostante il cambiamento dell'apparenza esteriore (äußeren Erscheinungsbildes), l'essere vivente resta dunque lo stesso. Anche la sostituzione e la nuova disposizione dei suoi fondamenti materiali non cambia niente al riguardo. E il soggetto non si cambia nemmeno se vengono perse certe parti (p. e. l'amputazione). Sul fatto di quest'identità sappiamo dalla nostra propria esperienza. Bonelli ci dice allora: "L'identità evidente degli esseri viventi nel corso dei tempi si fonda sì su un principio di unità immateriale e immanente, essendo a questo riguardo primariamente un dato filosofico, essa però ha anche il suo correlato somatico, cioè, la forma (figura) dell'essere vivente deve poter segnare il carattere della continuità anche in base alle scienze naturali, nonostante il cambiamento dell'apparenza esteriore, affinché essa possa essere identificata come la stessa. Così, il fondamento somatico dell'individualità e dell'identità dell'ovulo fecondato è la composizione cromosomica (Chromosomensatz) nel nucleo di cellula (...) non viene inteso che le strutture somatiche, come p. e. la composizione cromosomica, sono esattamente l'identità di un essere vivente. L'identità tocca sempre un individuo nel suo complesso, e già perciò non può essere 'localizzata' soltanto in un campo particolare."

Bonelli menziona poi il caso speciale della vita vegetativa: l'unione di organi fisiologica (physiologischer Organverbund). Se sono dunque collegati organi funzionalisticamente viventi tra loro in un'unione fisiologica attraverso un sistema di circolazione e si influenzano così reciprocamente, questo esito non è sufficiente per poter parlare di un essere vivente. Manca il riferimento a un'interezza di organizzazione unitaria (einheitliches Gestaltungsganze). Quest'unione di organi serve al massimo al mantenimento del funzionamento di singoli organi, ma non ancora serve al mantenimento di un soggetto.

3. Come deve constare la morte per il medico?

Bonelli sottolinea, che dal punto di vista del medico, non si può soltanto soffermare su segni di vita esteriori per constatare la vita o la morte di un uomo. Si deve assicurare che questi segni non sono soltanto fenomeni di una vita vegetativa-biologica, ma che essi trovano anche il loro fondamento nei criteri specifici dell'essere vivente: auto-compattezza (Selbstgeschlossenheit - indivisibilità), auto-integrazione (auto-organizzazione), auto-identità (continuità). La morte significa dunque una perdita piena e irreversibile di tutte le funzioni per poter integrare e coordinare le funzioni dell'organismo (fisico e spirituale) a una unità funzionale. Questa definizione vale per ogni essere vivente (e inoltre, non sarebbe decisivo qui se ci fosse [già] un cervello).

Dopo la morte avvenuta abbiamo soltanto resti di un uomo, ma non abbiamo più questo determinato e intero uomo stesso. Dobbiamo distinguere inoltre la putrefazione dal processo di morire. A differenza dell'essere nel processo di putrefazione, l'essere vivente prova ancora nel processo di morire a compensare da se stesso (nel suo complesso) il fermarsi della funzione di singoli organi attraverso una contro-regolazione, e prova ancora a stabilire di nuovo un'ordine interno. "Soltanto nel caso in cui la perdita di un singolo organo conduce anche alla perdita dell'integrazione e dell'identità, si può parlare della morte di un essere vivente, perché anche l'interezza compiuta scompare (...) Nel constatare la morte, non vengono considerate funzioni singole e specifici di organi o dello spirito, ma viene considerato l'organismo come interezza compiuta con la sua capacità dell'integrazione e con la sua identità nel corso del tempo."

4. La morte cerebrale (totale)

Secondo Bonelli, si parla della morte cerebrale quando sono avvenute la distruzione totale del cervello e così la perdita irreversibile delle funzioni del cervello come causa primaria della morte, mentre gli altri organi (all'inizio) saranno ancora intatti per andare poi in putrefazione. Inoltre, si può conservare funzionalisticamente efficienti la circolazione sangiugna nonché gli organi grazie alla respirazione artificiale e all'intervento con medicamenti. Però, vediamo immediatamente un crollo di tutti i meccanismi regulatori e coordinatori a causa della morte cerebrale. Tutto viene adesso tenuto insieme dall'esterno, e non si tratta più di un processo di morire perché la perdita dell'organo decisivo non viene compensata dall'interno (dell'interezza). L'interezza è scomparsa - dobbiamo definire questa situazione piuttosto come un rimandare del processo di putrefazione, e non come una terapia di sostituzione che conserva la vita nel senso di una compensazione al servizio dell'interezza. Tutte queste mesure servono soltanto al mantenimento di certi organi.

Guardando puramente dal punto di vista della scienza medica, non c'è differenza tra un morto cerebrale e una persona appena decapitulata. Il buon senso umano ha sempre identificato la decapitulazione con la morte dell'uomo, senza constatare l'arresto della circolazione cardiaca o perfino la rigidità cadaverica. Già con la perdita del cervello scompare anche l'identità dell'uomo, perché "il morto cerebrale - come abbiamo visto - non è più della somma delle sue parti, e se manca l'interezza superiore, non può neanche permanere nessun'interezza immutata (soggetto) nel corso dei tempi (e nonostante il cambiamento di forma) ... Corrispondentemente varia l'identità del morto cerebrale a seconda del numero degli organi funzionanti." Se prendessimo strettamente sul serio l'opinione che viva ancora il morto cerebrale a causa di certi segni di vita, seguirebbe almeno implicitamente che verrebbe trapiantato un uomo vivo en bloc e che continuerebbe poi a vivere nel ricevitore. In realtà, ogni trapianto è la prova sperimentale della triplice funzione del cervello, perché il possessore del cervello integra l'organo trapiantato senza cambiare la sua identità. Il cervello è dunque il fondamento somatico essenziale, come prima della formazione del cervello è un tale fondamento il nucleo cellulare con i suoi cromosomi. Senza affermare che il cervello è il principio stesso dell'unità dell'essere vivente, dobbiamo dire che il cervello è quasi il garante dell'identità e dell'integrazione di un individuo a un'interezza unitaria, essendo il cervello l'organo con cui aiuto avviene quest'unificazione (Einung).

5. Conclusione di Bonelli: La morte cerebrale = la morte dell'uomo

Nel morto cerebrale si trova una serie di segni di vita come il battito cardiaco, il metabolismo etc. Questi segni, però, non fungono a servizio dell'auto-organizzazione integrativa (integrative Selbstgestaltung) di un'interezza di organizzazione unitaria (einheitliches Gestaltungsganze), ma fungono nel senso di un'unione di organi fisiologica (physiologischer Organverband) le cui parti sono reciprocamente dipendenti nelle loro funzioni. Queste conoscenze vengono accertate attraverso la diretta analisi dei dati pato-fisiologici (pathophysiologische Daten) del morto cerebrale. Il morto cerebrale, perciò, non viene dichiarato morto perché il cervello è distrutto, ma viceversa: siccome non si può trovare nel morto cerebrale i criteri di un essere vivente, cioè auto-compattezza (Selbstgeschlossenheit), auto-integrazione e auto-identità, si può identificare la morte cerebrale con la morte dell'uomo. Il cervello è infatti anche un organo irrinunciabile di integrazione e di identità. Esso rappresenta un organo consuntivo intranscendibile, perché dal momento del suo sviluppo concluso non può assumere le sue funzioni nessun altro organo. "Così, si è potuto provare nella via diretta a causa dei dati pathofisiologici del morto cerebrale stesso e anche nella via indiretta nella quale la portata del cervello veniva mostrato descritivamente come irrinunciabile fondamento somatico per l'integrazione e l'identità, che il morto cerebrale è infatti morto."

II. LA POSIZIONE DI UN FILOSOFO (PROF. SEIFERT)

Se la morte cerebrale fosse usata solo come ulteriore elemento della morte umana, perché fino alla morte cerebrale possono "ritornare" morti clinici, non avremmo nessun problema. La morte cerebrale come condizione sine qua non del realizzarsi pienamente della morte è indubbiamente un completamento necessario del catalogo dei fenomeni indicando la morte dell'uomo. Pensiamo p. e. a "morti" assiderati in faccia alle tecnologie mediche della rianimazione.

Seifert vede la problematica nell'introdurre la nuova definizione della morte ("morte cerebrale") al posto della morte clinica di allora, cioè la problematica di dichiarare pazienti biologicamente viventi come morti, com'è indicato p. e. nella presa di posizione dell'ordine dei medici tedesco: "il pieno e irreversibile crollo della funzione intera del cervello, ancora mantenuta la funzione della circolazione nel resto del corpo". Seifert si domanda conseguentemente se la medicina e le leggi di oggi dichiarono viventi come morti, grazie alla definizione della morte come morte cerebrale.

1. Questioni di competenza

Seifert menziona Adolf Laufs che parla sulla portata giuridica della questione del momento preciso della morte - questa definizione del momento dipenderebbe dal concetto della morte, da determinare prima di tutto. Seifert critica però una frase di Laufs: "Il concetto della morte che deve essere determinato prima di tutto, non è un dato medico presupposto, ma si tratta di una convenzione normativa." Seifert vede almeno un limite per generalizzare questa opinione. Se qualcuno dicesse "la morte consiste nel pieno ed irreversibile crollo della funzione visiva", verrebbe definito giustamente stupido. La definizione della morte non può essere puramente arbitraria. Non si tratta dunque di convenzioni normative, ma si deve trovare dati oggettivi (objektive Sachverhalte). Va affermato che la questione della morte include sia l'esperienza in generale, sia aspetti della filosofia, sia aspetti specificamente medici. "In riferimento a tutti questi aspetti della morte dovrebbe risultare un'estrema cautela davanti a dogmatiche 'definizioni della morte' e ancora più davanti ad applicazioni dogmatiche di queste definizioni in casi incerti".

Toccando l'incertezza nel campo linguistico-logico, Seifert vede il problema fondamentale della competenza scientifica in riferimento alla definizione o dichiarazione della morte. Se con la morte cerebrale viene inteso il crollo irreversibile delle funzioni del cervello (Großhirn) o del paleoencefalo (Stammhirn), è certamente competenza della medicina di constatarla. Ma se viene intesa la morte dell'uomo stesso a causa di un tale crollo, oppure se viene intesa una morte personale (non-biologica) della persona biologicamente vivente, è inoltre competenza della filosofia e dei suoi giudizi.

2. Critica della definizione "morte cerebrale" per cause ontogenetiche, biologiche e filosofiche - incertezze principali di constatare la morte

La definizione non è logica già a causa della sua contraddizione allo sviluppo biologico ontogenetico dell'embrione. Siccome il cervello non è il primo portatore della vita umana, ma nasce solo dopo qualche settimana dall'organismo già prima formato, la vita dell'uomo non sussiste grazie a un cervello funzionante. Conseguentemente, non va identificata la vita umana con il funzionamento o non-funzionamento del cervello. "Ciò, che vale nelle prime fasi della vita umana, varrà anche per le sue ultime fasi." Segue che il cervello non può nemmeno essere considerato la sede esclusiva della vita umana biologica. Chiunque non escluda una vita umana personale prima della formazione del cervello, non dovrebbe neanche escludere la vita umana personale dopo il crollo irreversibile delle funzioni del cervello. Pensare altrimenti non sarebbe logico, cioè contraddirebbe la biologia e l'antropologia presupposta.

Inoltre, Seifert offre un argomento filosofico contro la determinazione esatta del momento della morte attraverso i criteri della morte cerebrale: Se la morte consiste nella separazione dell'anima, collegata intimamente al corpo durante la vita, come lo ritengono Platone e il cristianesimo, il mistero della morte, come mistero dell'uomo intero, non può essere definito attraverso il controllo dei criteri medici della morte cerebrale. Conseguenza: "Perciò, non sarà soltanto rispettato l'uomo con funzioni di vita ancora elementari, anzi, sarà rispettato anche il corpo immediatamente dopo l'accadere della morte come 'appena morto' ... Dunque, risiede anche nel precipitarsi verso il paziente, per strappargli un organo dopo l'ultimo battito cardiaco e l'ultimo respiro, una 'calcolazione' barbarica della morte che si contrappone al suo carattere misterioso. Questo vale in senso doppio per un simile comportamento verso 'morti cerebrali'."

Con quale diritto - domanda Seifert - si vedono dunque giustificati medici e giuristi a restringere l'essenza della vita, definendola esclusivamente con funzioni del cervello? Il nostro filosofo riconosce nella definizione "morte cerebrale" una forma insostenibile del dualismo, che propone il corpo e la vita biologica dell'uomo come pienamente separabili e separati dalla vita spirituale della persona. Questo dualismo radicale tra vita biologica (artspezifisches vita umana) e vita umana personale è il presupposto della definizione "morte cerebrale". L'integrazione dell'intero processo di vita nel "morto cerebrale", il mantenimento della temperatura corporale e tanti altri segni di vita impediscono di dichiararlo con certezza morto, cioè, ci sono cause biologiche e filosofiche che l'impediscono. Inoltre, nella definizione della morte cerebrale viene considerato soltanto un piccolo campo parziale della vita umana biologica come unico riferimento per l'esistenza personale, dimostrando così all'interno del dualismo anche un particolarismo.

Infine, la definizione "morte cerebrale" suppone spesso un attualismo puro e una riduzione dell'essere umano alla coscienza attuale. Questa critica non vale per quegli autori i quali credono con J. Eccles e D. A. Shewmon, che l'anima spirituale lasci il morto cerebrale e l'uomo nello status vegetativo. Se l'uomo però possiede un essere sostanziale che esiste realmente anche, se non può essere attuato, il che capita tra altro attraverso il crollo irreversibile delle funzioni del cervello o attraverso l'arresto del cervello, non c'è nessuna causa filosofica di escludere l'esistenza della vita personale, principalmente razionale e capace di coscienza, dell'uomo neanche nel caso in cui non viene appresa attualmente. L'anima spirituale razionale può esistere nell'uomo anche se il cervello è incapace di funzionare.

3. L'ambiguità (filosofica e medica) del concetto "morte cerebrale"

Già nel campo medico stesso c'è un'ambiguità del concetto; viene definito spesso come morte paleoencefalica e introdotto così nei testi di legge, con il significato di un crollo irreversibile di tutte le funzioni del paleoencefalo (Hirnstamm). In altri testi, però, vediamo la comprensione di una morte corticale o neo-corticale (con un paleoencefalo funzionante), e in altri testi vediamo infine la morte cerebrale totale (Ganzhirntod) che significa o il crollo irreversibile delle funzioni della neo-corteccia (Neokortex) o un tale crollo del cervello intero.

Un'incertezza conseguente e una questione naturalmente difficile rappresentano i criteri per constatare la morte cerebrale, qualunque definizione venga scelta. Alcuni criteri vengono utilizzati per constatare la morte cerebrale in faccia al crollo irreversibile delle funzioni del paleoencefalo (Stammhirn), forse ancora insieme con il funzionamento della corteccia cerebrale (Großhirnrinde - e così della coscienza); altri criteri vengono utilizzati per constatare la morte cerebrale in faccia al crollo delle funzioni corticali e della coscienza. Questi due fenomeni della "morte cerebrale", però, si distinguono fondamentalmente. Da una parte, emorragie intense nel cervello possono causare un crollo permanente delle funzioni del paleoencefalo (Hirnstamm) con il rimasto funzionamento del cervello (Großhirn), dall'altro gli anencefalici, dichiarati morti a causa della neo-corteccia (Neokortex) incapace e ampiamente non esistente, possiedono un paleoencefalo (Hirnstamm) funzionante.

C'è un'incertezza ancora più grave, cioè l'indicare delle cause, per cui precisamente viene definito l'irreversibile crollo delle funzioni del cervello come "morte". Sarebbe 1. perché con la morte paleoencefalica (Hirnstammtod) è avvenuta la morte cerebrale totale (Ganzhirntod) e conseguentemente il crollo di tutte le funzioni del cervello (Großhirn), che va considerato come l'unica parte del corpo potendo essere la sede dell'anima e della coscienza. O sarebbe 2. perché restano soltanto parziali individuali attuazioni di vita (Teil-Lebensvollzüge), ma non c'è più nessuna vita biologica dell'organismo intero come tale (con l'eccezione probabile degli anencefalici). O sarebbe 3. perché la coscienza non sarà mai più possibile (cognitive death), magari si deve pensare alla perdita irreversibile della coscienza superiore (höheres Bewußtsein) ossia alla deanimazione (Entseelung - questa fondazione viene poi allargata anche a certi tipi di ritardati e di anencefalici). O sarebbe 4. a causa dell'arresto della spontanea attività cardiaca e del polmone, il che però condurrebbe a poter definire anche il coma dépassé come morte cerebrale, oppure a dichiarare alcuni paraplegici come morti quando cessano le loro funzioni spontanee della respirazione e della circolazione.

Tutto questo ci mostra una certa arbitrarietà e incertezza dell'identificazione medica, giuridica e filosofica della morte con la morte cerebrale, "anche se nella maggioranza degli ordinamenti nel terreno interno all'Europa e negli Stati Uniti è stabilita una 'definizione della morte cerebrale totale' con precisi criteri."

Isolando questa critica, per Seifert non ancora segue che non sarebbero forse anche adeguati criteri della morte cerebrale, ma segue certamente 1. che il concetto della morte cerebrale non serve alla prassi e alla teoria giuridica e medica, finché non sia fatta un'analisi precisa del concetto - senza quest'analisi e senza una possibile fondazione approfondita, il concetto non andrebbe usato. Segue 2. che, visto i differenti criteri e concetti della morte cerebrale (fatto dipendente dalla necessità di dichiarare o donatori d'organo anencefalici o donatori "morti paleoencefalicamente"), dovrebbe essere abolita almeno una delle forme del concetto morte cerebrale. "Leggi su vita e morte le quali si riferiscono a giudizi e definizioni contraddittori, dovendo essere perciò sbagliate almeno parzialmente, andrebbero sospese immediatamente, fino a nuovo avviso."

4. Argomenti illogici per la "morte cerebrale" in base alla coscienza

Se infatti costituisse soltanto la coscienza una vita personale, andrebbe definito soltanto la morte puramente (neo-)corticale come morte cerebrale. Siccome questa morte puramente corticale non si può verificarla nettamente (esattamente) nell'uomo biologicamente vivente, si ha preferito la definizione della morte paleoencefalica (Hirnstammtod) nella maggioranza degli ordinamenti.

Secondo Seifert, nella letteratura specializzata si avrebbe dunque ammesso, che spesso non si può verificare medicamente una morte cerebrale nel senso di un crollo irreversibile della coscienza personale, argomento forte contro la definizione della morte cerebrale, anche in generale. Infine, se soltanto il cessare definitivo della coscienza personale fosse la "morte", come viene frequentemente presupposto, la morte cerebrale andrebbe definito nel modo con cui questo status potrà esser constatato sicuramente. Esattamente questa difficoltà o impossibilità di verificare il crollo irreversibile della funzione della neo-corteccia (Neokortex) sarebbe condotta alla definizione della morte paleoencefalica (Hirnstammtod). Abbiamo già menzionato il problema che ci sono casi di emorragie intense, con le quali viene distrutto irreversibilmente il paleoencefalo (Hirnstamm), ma non viene distrutta la neo-corteccia (Neokortex), collegata con la coscienza, il che mostra l'insufficienza della definizione secondo i criteri propri dei difensori della morte cerebrale.

5. Incertezze empiriche in riferimento al constatare la morte cerebrale "irreversibile"

Seifert commenta alcuni documentati casi di errori nel constatare sviluppi "irreversibili". Egli menziona un caso a New York, in cui venne preparato un dichiarato morto per un prelievo d'organo. Però, essendo poi arrivato una vittima della strada più giovane, non venne utilizzato il "morto". Dopo un corto tempo il "morto cerebrale" risparmiato si svegliò, e conversò per alcuni giorni fino alla sua morte reale. Nel 1980, BBC Panorama avrebbe pubblicato alcuni altri casi di diagnosi sbagliata. Ci sarebbe un paziente esattamente documentato, che visse coscientemente ancora 201 giorni dopo l'accertamento ovviamente sbagliato.

Secondo Seifert, comunque, ogni medico dovrebbe ammettere che la morte umana dal punto di vista empirico è un "mistero" il cui verificarsi e il cui definire (il momento esatto) sono più difficili, pensando sopratutto ai casi scientificamente esaminati di uomini, che non furono soltanto cerebralmente morti, ma anche clinicamente morti, cioè, la cui attività cardiaca e del polmone fu finita per un tempo considerabile, e che vivono ancora oggi raccontando le loro esperienze sulla "vita dopo la vita".

Poi è strano, che vengano definite persone, mantenuti artificialmente in vita, come "morti". Sembra essere una contraddizione aperta, prendere sul serio una "morte" di un morto cerebrale che viene mantenuto in vita. Sembra dunque chiaro per l'esperienza e il buon senso, che un paziente comatoso oppure "morto cerebralmente" vive infatti durante tutto il tempo, in cui riceve nutrimento, ha un metabolismo, è capace di reagire a certi stimoli, dimostra una circolazione sangiugna artificialmente sostenuta e il cambiamento dell'ossigeno. Chi dubita realmente che un anencefalico, nato senza il cervello (Großhirn), vive infatti (in quanto è capace di vivere)? L'identificazione della morte con la morte cerebrale si contraddice dunque radicalmente in sé stesso, come egualmente alla prassi medica e alla scienza e come a ogni esperienza umana di vita e morte. Per essere coerente, come difensore della definizione della morte cerebrale e dell'applicazione concreta di essa, si dovrebbe comunque evitare il richiamo ai diritti di una madre "morta cerebralmente" al morire (p. e. "sarebbe indegno di continuare la gestione"). Va ammesso egualmente che neanche i criteri classici della morte furono (sono) infallibili - ci furono sempre casi di morte apparente. Sembra allora esistere situazioni vicine/simili alla morte di viventi. Come mai sarebbe possibile dichiarare, che un "morto cerebrale", appreso dall'esperienza come vivente, sia realmente morto? La tesi sviluppata nel 1968 a Harvard nel Report of the Ad hoc Committee of Harvard Medical School to examine the Definition of Brain Death fu perciò sin dall'inizio incerta e in contrasto ad ogni esperienza umana.

6. Le radici probabilmente ideologiche della definizione "morte cerebrale"

Le radici che hanno portato il team di Harvard nel 1968 (poco tempo dopo il primo trapianto di cuore) alla nuova definizione della morte, così influente nel mondo, vanno visti chiaramente. Sembra ovvio che questa definizione rappresentasse la condizione sine qua non per pratiche auspicabili, considerando sopratutto il trapianto d'organo. Il team di Harvard utilizzò soltanto due argomenti pragmatici, fatto questo, che venne visto chiaramente dal critico Hans Jonas. Certo, si può scoprire verità anche grazie a cause pragmatiche, però, non basta nel caso concreto per poter provare, che morte cerebrale sia infatti la morte dell'uomo. Conseguenze positive di una definizione non bastano per legittimare la definizione stessa. Il primo motivo fu il desiderio di non dover più usare la tecnologia medica per l'accanimento terapeutico per un tempo illimitato, e il secondo motivo fu naturalmente il trapianto d'organi, sopratutto quello del cuore. Seifert non riconosce la necessità del primo motivo, essendo già stato Pio XII nel 1957 dicendo che non c'è un obbligo morale di usare mezzi straordinari nel caso di pazienti sofferenti gravemente o privi di sensi ad allungare la loro vita.

Soltanto il secondo motivo è chiaro perché non era pensabile di finire la vita di uomini viventi per il prelievo d'organi. Però, questa definizione non dà una scusa per non fondarla più scientificamente e filosoficamente, il che non è stato fatto fino ad oggi. "È questa nuova definizione probabilmente solo determinata dalla necessità di poter qualificare ciò che, esaminandolo da più vicino, è 'omicidio', soltanto come >>prelievo di 'organi viventi' da donatori morti<< per dare all'azione la faccia di rispettabilità?" Andrebbe abolito logicamente anche il divieto giuridico della sepoltura di pazienti col battito del cuore. Hans Jonas ha mostrato che la logica della definizione non esclude futuri esperimenti di ogni genere con "morti cerebrali".

7. Conclusione di Seifert: Reintroduzione di una definizione classica migliorata

Il nostro filosofo ci ricorda che dobbiamo distinguere la definizione metafisica-oggettiva dalla definizione pratica (medica). L'oggettiva definizione filosofica, sin da Platone, ci dice che la morte è la separazione definitiva dell'anima umana dal corpo umano, che diviene così salma. Siccome, però, non si può osservare empiricamente l'andarsene dell'anima, la medicina come tale deve utilizzare una altra definizione, empiricamente controllabile, della morte. Questa trova Seifert in una sua versione migliorata della definizione classica:

"La morte umana, in quanto medicamente constatabile, è il cessare pieno e irreversibile di tutte le funzioni biologiche fondamentali per l'organismo nel complesso, incluse sopratutto quelle della respirazione e dell'attività cardiaca nonché dell'intero cervello."

Non toccando l'essenza della morte, con questa definizione, cioè con l'irreversibilità viene escluso un cessare temporale di queste funzioni vitali (p. e. a causa di un'influenza dal freddo). Inoltre, con questa definizione viene distinta la vita di singole formazioni cellulari (einzelne Zellkulturen) dalla vita dell'organismo nel complesso, e viene evitata la pretesa di aver definito l'essenza oggettiva della morte. La morte cerebrale come tale viene escluso come esclusiva definizione valida della morte.

Seifert menziona ancora quattro ragioni per utilizzare questa definizione:

1. Questa definizione è certa - non c'è bisogno di un team di esperti per constatare questa morte che ci appare chiaramente come la morte.

2. Questa morte sarà certamente la morte reale. Nessuno dubiterà che, in presenza di tutti i segni sicuri della morte, l'uomo non fosse realmente morto, almeno dopo il la scadenza tradizionale di 72 ore per escludere sia una morte apparente, sia la possibilità di una certa presenza dell'anima fino alla conclusione del processo mortale. Seifert afferma: "La morte cerebrale è perlomeno estremamente insicura, e perciò essa non può essere il fondamento per un agire, che nel caso di errore della definizione sarebbe oggettivamente omicidio doloso (Totschlag) ossia assassinio. Manca la certezza morale necessaria, con cui si può escludere che l'anima (la persona) è ancora presente."

3. L'unità biofisica dell'uomo (si pensi all'identità dell'uomo come essere vivente e come persona; il dualismo insostenibile tra l'essere umano (organismo antropoido), la specie uomo, e la persona umana) suggerisce, che la definizione "morte cerebrale" non rispetti l'essenza sostanziale dell'uomo. Le forme principali della difesa della morte cerebrale, si fondano inoltre su due errori riguardo all'uomo: identificano la coscienza dell'uomo con funzioni del cervello o con gli epifenomeni di esse, sono dunque materialistiche; e identificano l'essere sostanziale della persona con gli atti e le capacità, senza fondare l'essere della persona al livello della sostanza e della natura.

4. Infine, l'esperienza contraddice la definizione "morte cerebrale". La vita dell'organismo non è il risultato del cervello, ma sussiste ontogeneticamente prima. Così - neanche per cause biologiche - non si deve identificare l'irreversibile crollo del funzionamento del cervello con la morte dell'uomo.

III. TENTATIVO DI UNA CONCLUSIONE CRITICA

Il primo problema fondamentale è: chi è competente a definire la morte o il momento della morte, chi sarà competente ad enunciare un giudizio "finale" sui risultati delle singole scienze al riguardo? Le due posizioni del medico Bonelli e del filosofo Seifert ci mostrano chiaramente l'interdiscliplinarità(25) : il medico non ha potuto argomentare senza dati, presupposti e conclusioni filosofici, e il filosofo non ha potuto argomentare senza entrare nelle scienze singole. Metodologicamente voglio ritenere, che la medicina possa sì controllare criteri, ma non può dire nel suo ambito stesso, se questa morte medica (compresa in base ai criteri) sia già la morte propria di un uomo. Stando così le cose, non sarà possibile dal punto di vista del legislatore di saltare in generale una specie di giudizio finale della filosofia come scienza aperta per tutte le scienze singole. Neanche la bioetica si potrà accontentarsi di un risultato scientifico della medicina.

Seifert vede giustamente il problema della competenza scientifica. Se con la morte cerebrale viene inteso il crollo irreversibile delle funzioni del cervello (Großhirn) o del paleoencefalo (Stammhirn), è certamente competenza della medicina di constatarla. Ma se viene intesa la morte dell'uomo stesso a causa di un tale crollo, oppure se viene intesa una morte personale (non-biologica) della persona biologicamente vivente, è inoltre competenza della filosofia e dei suoi giudizi. Ha esposto bene un chirurgo: "Se nella definizione della morte cerebrale dipende tutto dall'irreversibilità e dalla definitività di tutte le funzioni del cervello, si deve dire in senso stretto, che questa definizione è soltanto una relativa, perché nella scienza naturale servendosi del metodo induttivo, quasi non si può osservare l'irreversibilità e in nessun caso la definitività. Attraverso metodi delle scienze naturali, si può soltanto dire che secondo il livello attuale della tecnica - se io ho misurato corettamente - questo avvenimento è irreversibile e a questo riguardo definitivo."(26)

Mi sembra dunque che anche Bonelli abbia dato in realtà una posizione fondamentalmente filosofica. Ha amesso questo almeno indirettamente, descrivendo che la medicina ha bisogno di "nuovi criteri della morte meno empirici, ma più esatti e così anche più indubbi."(27) Dal punto di vista di oggi sembra "vecchia" perciò anche l'affermazione di un dizionario di teologia morale: "In pratica la filosofia e la teologia accettano la definizione di morte che la scienza, man mano, va sempre più precisandoci ... Oggi, la dottrina teologica e la dottrina morale, seguendo le indicazioni più recenti della scienza del settore, ritiene 'morta' la persona nella quale sia stata riscontrata una degenerazione irreversibile della massa cerebrale ... che rendew il soggetto totalmente irrecuperabile alla vita."(28) La posizione aperta di Bonelli sembra essere un invito chiaro non soltanto per la teologia, ma sopratutto per la filosofia - non basta più accettare un dato scientifico senza tanta riflessione. Anche se nemmeno la filosofia può veramente definire il momento esatto della morte empiricamente controllabile, penso che possa giudicare sulla domanda, sin da quale punto sia più certo che l'uomo è veramente morto nel senso che l'anima abbia lasciato il corpo. È questo sembra essere la richiesta del filosofo Seifert.

La posizione di Bonelli della morte cerebrale totale è accettata dalla maggior parte delle legislazioni, e come abbiamo visto perfettamente, come l'antico e nobilissimo principio metafisico (il tutto è più della mera somma delle sue parti costitutive) viene utilizzata come spiegazione filosofica: "Nel constatare la morte, non vengono considerate funzioni singole e specifici di organi o dello spirito, ma viene considerato l'organismo come interezza conclusa con la sua capacità dell'integrazione e con la sua identità nel corso del tempo"(29). Secondo Bonelli, il morto cerebrale perciò non viene dichiarato morto, perché il cervello è distrutto, ma viceversa: siccome non si può trovare nel morto cerebrale i criteri di un essere vivente, cioè auto-compattezza (Selbstgeschlossenheit), auto-integrazione e auto-identità, si potrebbe identificare la morte cerebrale con la morte dell'uomo. In questa posizione abbiamo visto esattamente come ha analizzato F. D'Agostino: "La persona ... è pensata in questa prospettiva non solo in quanto ha un corpo, ma in quanto è un corpo: di conseguenza la mera perdita dell'autocoscienza non potrà mai equivalere alla morte biologica dell'organismo - e quindi della persona -, qualora l'organismo continui obiettivamente ad essere tale, cioè un tutto unitariamente governato da un'attività cerebrale (anche se parziale)."(30)

Possiamo dire, che Seifert vede la problematica di un' "eutanasia" come soppressione di dichiarate non-persone non soltanto con la definizione della morte corticale(31), ma con la definizione morte cerebrale in generale. L' "alternativa" filosofica (tra Bonelli e Seifert) sembra essere quella tra "il tutto come organismo è più della mera somma delle sue parti costitutive, finendo (già) con la morte cerebrale totale" e "il tutto come unità intima tra corpo ed anima non è soltanto più della mera somma delle sue parti costitutive dell'organismo, ma è ancora più dell'organismo, non finendo con la morte totale di un organo centrale". La maggioranza delle legislazioni sembra limitarsi alla tutela della vita fino al limite minimo della "morte cerebrale". Parlando con un giurista austriaco, mi ha confermato che le leggi vengono spesso prese "dalla vita", cioè dall'ambito "competente", nel nostro caso dalla maggioranza dei medici che lavorano nel campo del trapianto. È giusto questo essere dipendente soltanto dalla prassi (che secondo me viene legittimato anche filosoficamente soltanto dopo)? Non mostra forse anche l'argomentazione filosofica del medico Bonelli che tocca infatti alla filosofia di decidere, se la morte cerebrale possa essere già la morte dell'uomo come persona intera? La perdita di identità attraverso la perdita del cervello sembra essere una decisione filosofica e non soltanto medica.

E come mai potrebbe essere sorprendente che viene preso quell'argomentazione filosofica dal medico, la quale corrisponde alla prassi? Certo, con questo non abbiamo deciso che la prassi non sia legittima. Però restono dubbi nel senso di Seifert - non andrebbe presa in considerazione anche qui la via tuzioristica(32), anche se forse non tutti gli argomenti di Seifert convincono? Non si dovrebbe dire forse: già la sola esistenza di un semplice dubbio in merito alla corretta individuazione dello statuto ontologico del "morto cerebrale", il mero sospetto cioè che il prelievo di organi dal "morto cerebrale" comporti la soppressione di un essere umano vivente (qualunque sia la comprensione di vivente), implica il dovere etico di tutelarlo fino alla morte naturale, riconoscibile da ogni esperienza? Ma come provare anche a quelli che sono aderenti al principio della tutela della vita dal concepimento fino alla "morte naturale", che però sono convinti di avere con la morte cerebrale intera la morte dell'uomo in senso legittimo? C'è forse la sola differenza, che i concepiti sono nella strada della vita, i "morti cerebrali" sembrano essere nella strada della morte.

Il cervello è necessario per l'efficienza dell'anima, allora, non è detto, che con la perdita del cervello l'anima se n'è andata via. La domanda è: vivere biologicamente "senza" cervello è veramente ancora il vivere della persona nel senso proprio? Interessa questo al diritto? Anche se possiamo dire che "il dovere di mantenere comunque, finché è possibile, in vita il paziente, non sussiste più ... nel caso di morte cerebrale"(33) , penso personalmente, che trapianti, accelerando eventualmente un "processo di morire" dopo la "morto cerebrale", dovrebbero essere esclusi non soltanto a causa della volontà esplicita del "morto cerebrale", ma giuridicamente in generale. Però, vista l'insicurezza oggettiva (scientifica) sul momento più esatto della morte, forse si potrebbe e dovrebbe dire, che la volontà di chiunque voglia donare i suoi organi dopo la morte cerebrale totale vada ritenuta valida - a causa di un grande gesto di quella coesistenzialità costitutiva di cui il portatore e il difensore è il diritto stesso.(34)

Segue per me anche la pretesa che le leggi devono prevedere comunque l'assenso esplicito del donatore prima della sua morte cerebrale. Non mi pare giusto di presumere generalmente il consenso com'è regolato non soltanto in Austria(35), ma anche nel Belgio, nella Francia etc. Questo presumere è stato denominato giustamente "nazionalizzazione dei corpi"(36). La soluzione giuridica potrà essere soltanto quella che i medici e lo stato devono avere un consenso chiaro della persona, cosiché l'uomo stesso abbia potuto almeno decidere in questo caso di dubbio (Zweifelsfall). Un professore americano dell'Università di Pittsburgh, David Powner, ha proposto dunque a scegliere anche la definizione della morte. Ognuno, in una dichiarazione scritta, dando il consenso al trapianto dei propri organi, dovrebbe anche specificare quale ritiene più giusta fra le diverse definizioni di morte, comprendendo tra le varie "possibilità" anche quella ottocentesca di arresto del battito cardiaco e del respiro, e certamente quella che ci ha offerto Seifert: "La morte umana, in quanto medicamente constatabile, è il cessare pieno e irreversibile di tutte le funzioni biologiche fondamentali per l'organismo nel complesso, incluse sopratutto quelle della respirazione e dell'attività cardiaca nonché dell'intero cervello."(37)

IV. BIBLIOGRAFIA

BONELLI J., Leben und Hirntod aus der Sicht des Arztes, in: Imago Hominis, Quartalsschrift des Institutes für Medizinische Anthropologie und Bioethik - Wien, a. I, n. 1 (1994) 55 - 66.

COPPENS F., La loi et la vie humaine. Réflexions à propos du débat sur l'euthanasie, in: Nouvelle Revue Théologique (Bruxelles), vol. 119, n. 1 (1997) 49 - 64.

D'AGOSTINO F., Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, Torino 1996 (= Recta Ratio. Testi e Studi di Filosofia del Diritto collana diretta da Francesco D'Agostino e Francesco Viola. Terza serie - 1)

HÖFFE O., art. "Medizinische Ethik", in: Staatslexikon (Recht - Wirtschaft - Gesellschaft) herausgegeben von der Görres-Gesellschaft, Volume 3, Freiburg - Basel - Wien 7/1987, 1069 - 1074.

LAUN A., Die Einstellung der Kirche zum menschlichen Leben: Euthanasie und die Probleme der Neonatologen mit schwerstbehinderten Kindern, in: IDEM, Fragen der Moraltheologie heute, Freiburg - Basel - Wien 1992, 125 - 148.

PRAT E. H., Bericht vom Symposium. Personsein aus bioethischer Sicht, in: Imago Hominis, Quartalsschrift des Institutes für Medizinische Anthropologie und Bioethik - Wien, a. IV, n. 1 (1997) 67 - 69.

SEIFERT J., Erklären heute Medizin und Gesetze Lebende zu Toten?, in: RAMM W. (edit.), Organspende. Letzter Liebesdienst oder Euthanasie, Absteinach (Germania) 1995, 51 - 89.

SCHWARZ C., Transplantationschirurgie, Wien 1994 (= IMABE-Studie, wissenschaftliche Schriftenreihe des IMABE - Institut für medizinische Anthropologie und Bioethik Nr. 2)

TAMBONE V., Die Wurzeln der Bioethik. Tagungsbericht, in: Imago Hominis, Quartalsschrift des Institutes für Medizinische Anthropologie und Bioethik - Wien, a. III, n. 3 (1996) 153 - 158.

TESNIÈRE A. - VERSPIEREN P. - PETETIN V. - BIOCOCCHI C. - MARAND C., Dons d'organes. L'urgence de la parole, in: Études (Paris), vol. 385, n. 5 (nov. 1996) 481 - 495.

Articoli letti nei giornali italiani:

9. 10. 1996: Il Tempo, p. 12 (TERZA PAGINA): "Embrione: è una persona. Il Congresso nazionale dei docenti di filosofia riapre lo scottante dibattito sulla bioetica" (di Battista Mondin)

31. 10. 1996: Il Tempo, p. 12 (CRONACHE): 1. "La donna ha deciso di donare gli organi del figio anencefalico che deve ancora nascere." 2. "Lega contro la predazione: la legge e la morale dicono di no" (di Oreste Lo Pomo)

7. 5. 1997: Corriere della Sera, p. 29 (CULTURA E SPETTACOLI): "Morale - il diritto di 'Micromega' difende le ragioni dell'eutanasia in polemica con i cattolici. La replica del presidente del Comitato nazionale di bioetica: ma oggi ci sono le cure palliative." (di Paolo Flores D'Arcais e di Serena Zoli)

13. 10. 1997: Corriere della Sera, p. 12 (ESTERI): "Isreale, il cuore di un bambino ebreo trapiantato su una bimba araba. Oltre la guerra/Yval, otto anni, è morto venerdì investito da un'auto. Reina, tre anni, soffriva di una grave malformazione" (di Lorenzo Cremonesi)


V. ANNOTAZIONI

  1. System des heutigen Römischen Rechts, vol. 2, 17: "Der Tod, als die Grenze der natürlichen Rechtsfähigkeit, ist ein so einfaches Naturereignis, daß derselbe nicht, so wie die Geburt, eine genauere Feststellung seiner Elemente nötig macht." (cit. secondo J. SEIFERT, Erklären heute Medizin und Gesetze Lebende zu Toten?, in: W. RAMM [edit.], Organspende. Letzter Liebesdienst oder Euthanasie, Absteinach [Germania] 1995, 53)

  2. Cf. il rapporto "Deutschland: Debatte um Organspende nach Hirntod" nella rivista Imago Hominis, Quartalsschrift des Institutes für Medizinische Anthropologie und Bioethik - Wien, a. III, n. 1 (1996) 54.

  3. F. D'AGOSTINO, Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, Torino 1996 (= Recta Ratio. Testi e Studi di Filosofia del Diritto collana diretta da Francesco D'Agostino e Francesco Viola. Terza serie - 1), 173.

  4. J. BONELLI, Leben und Hirntod aus der Sicht des Arztes, in: Imago Hominis, a. I, n. 1 (1994) 57: "... der Versuch gemacht wird, neue, weniger empirische, sondern exaktere und damit auch zweifelsfreiere Todeskriterien zu suchen."

  5. BONELLI (1994) 58: "Sie werden im Lebewesen von einem ihm innewohnenden (immanenten), einenden Gestaltungsprinzip aufeinander im Dienst der übergeordneten Einheit abgestimmt (... Selbstintegration)."

  6. BONELLI (1994) 58 s.: "Die offensichtliche Identität der Lebewesen durch die Zeit basiert zwar auf einem immateriellen, immanenten Einheitsprinzip und ist insoferne primär ein philosophisches Datum, es hat aber auch ihr somatisches Korrelat, d. h. die Gestalt des Lebewesens muß trotz Wandel im Erscheinungsbild den Charakter der Kontinuität auch auf naturwissenschaftlicher Basis aufweisen können, damit es als ein und dasselbe identifiziert werden kann. So ist die somatische Grundlage für Individualität und Identität der befruchteten Eizelle der Chromosomensatz im Zellkern (...) nicht gemeint ist, daß die somatischen Strukturen wie z. B. der Chromosomensatz mit der Identität eines Lebewesens gleichzusetzen sind. Die Identität trifft immer das Ganze eines Individuums und kann schon deshalb nicht auf einen Teilbereich 'lokalisiert' werden."

  7. BONELLI (1994) 61 s.: "Nur wenn der Verlust eines Organs auch zum Verlust von Integration und Identität führt, kann vom Tod eines Lebewesens gesprochen werden, weil dann auch das abgeschlossene Ganze zerfällt (...) Bei der Feststellung des Todes werden keine spezifischen Einzelfunktionen von Organen oder des Geistes betrachtet, sondern der Organismus als abgeschlossene Ganzheit in seiner Integrationsfähigkeit und seiner Identität durch die Zeit."

  8. BONELLI (1994) 63: "der Hirntote ist, wie wir gesehen haben, nicht mehr als die Summe seiner Teile und wenn die übergeordnete Ganzheit fehlt, kann auch kein unverändertes Ganzes (Subjekt) über die Zeit hinweg (trotz Gestaltwandel) ein und dasselbe bleiben (...) Dementsprechend variiert je nach Anzahl der funktionsfähigen Organe die Identität des Hirntoten."

  9. BONELLI (1994) 65: "Somit konnte auf direktem Wege aufgrund der pathophysiologischen Daten des Hirntoten selbst und auch indirekt, indem die Bedeutung des Gehirns deskriptiv als unverzichtbare somatische Grundlage für Integration und Identität aufgezeigt wurde, nachgewiesen werden, daß der Hirntote tatsächlich tot ist."

  10. Cf. SEIFERT (1995) 54 s.

  11. Kriterien des Hirntodes. Entscheidungshilfen zur Feststellung des Hirntodes. Fortschreibung der Stellungnahme des Wissenschaftlichen Beirates "Kriterien des Hirntodes", 9. April 1982, in: Deutsches Ärzteblatt A, 1986, 2940 ss.: "vollständigen und irreversiblen Zusammenbruch der Gesamtfunktion des Gehirns bei noch aufrechterhaltener Kreislauffunktion im übrigen Körper" (cit. secondo SEIFERT [1995] 54).

  12. A. LAUFS, Der Arzt - Herr über Leben und Tod? Antworten aus der Sicht eines Juristen, Essener Gespräche zum Thema Staat und Kirche (22), hrsg. v. R. MARRÉE und J. STÜTING, Münster 1988, 123: "Bei dem vorrangig zu bestimmenden Todesbegriff handelt es sich nicht um eine medizinische Vorgegebenheit, sondern um eine normative Konvention." (cit. secondo SEIFERT [1995] 62.)

  13. SEIFERT (1995) 62 s.: "In Bezug auf alle diese Aspekte des Todes legt sich höchste Vorsicht gegenüber dogmatischen 'Todesdefinitionen' und noch mehr gegenüber dogmatischen Anwendungen dieser Definitionen auf unklare Fälle nahe".

  14. SEIFERT (1995) 59: "Was in den ersten Phasen des menschlichen Lebens gilt, gilt wohl auch für dessen letzte Phasen."

  15. SEIFERT (1995) 65: "Dann wird man nicht nur den noch elementaren Lebensfunktionen aufweisenden Menschen, sondern sogar den Leib unmittelar nach Eintritt des Todes noch als 'eben Verstorbenen' achten ... Deshalb liegt selbst im Hinstürzen auf den Patienten nach dem letzten Herzschlag und Atemzug, um ihm ein Organ zu entreißen, eine barbarische 'Kalkulation' des Todes, die dessen geheimnisvollen Charakter widerstreitet. Das gilt doppelt von einem ähnlichen Verhalten 'Hirntoten' gegenüber."

  16. SEIFERT si riferisce naturalmente al suo libro Das Leib-Seele-Problem und die gegenwärtige philosophische Diskussion. Eine kritisch-systematische Analyse, Darmstadt, ²1989.

  17. Questo sembra essere la posizione di BONELLI.

  18. SEIFERT (1995) 58: "wenn auch in den meisten Gesetzgebungen im innereuropäischen Raum und in den USA eine 'Ganzhirntod-Definition' mit genauen Kriterien festgelegt ist."

  19. SEIFERT (1995) 59: "Gesetze über Leben und Tod, die sich auf Urteile und Definitionen stützen, die zumindest partiell falsch sein müssen, weil sie widersprüchlich sind, sollten aber sofort bis auf weiteres suspendiert werden."

  20. Non potevo controllare questi casi, e inoltre, si dovrebbe sapere esattamente le leggi e i criteri utilizzati che permettono di dichiarare qualchuno morto cerebralmente.

  21. Against the Stream: Comments on the Definition and Redefinition of Death, in: Philosophical Essays: From Ancient Creed to Technological Man, Englewood Cliffs, N. J., 132 - 140.

  22. SEIFERT (1995) 74: "Ist vielleicht diese neue Definition nur dadurch bestimmt, daß man das, was bei näherem Zusehen 'Mord' ist, nur als >> Entnahme 'lebendiger Organe' von toten Spendern << zu bezeichnen braucht, um den Vorgang den Anstrich der Respektabilität zu verleihen?"

  23. SEIFERT (1995) 78: "Der menschlicheTod ist, soweit er medizinisch feststellbar ist, das vollständige und irreversible Erlöschen aller für den Organismus als Ganzen grundlegenden biologischen Lebensfunktionen inklusive und vor allem der Atmung und der Herztätigkeit sowie des gesamten Gehirns."

  24. SEIFERT (1995) 79 s: "Der Hirntod ist zumindest äußerst unsicher, und deshalb kann er nicht Grundlage für ein Handeln sein, das im Falle des Irrtums der Definition objektiv Toschlag beziehungsweise Mord wäre. Es fehlt die nötige moralische Gewißheit, bei der man ausschließen kann, daß die Seele (Person) noch präsent ist."

  25. Cf. al riguardo D'AGOSTINO (1996) 3 ss.

  26. E. H. PRAT (con riferimento al chirurgo A. ZIEGLER, Oldenburg), Bericht vom Symposium. Personsein aus bioethischer Sicht, in: Imago Hominis, a. IV, n. 1 (1997) 69: "Wenn es zum Beispiel für die Hirntoddefinition auf die Irreversibilität und Endgültigkeit aller Gehirnfunktionen ankommt, dann muß man strenggenommen sagen, daß diese Definition nur eine relative ist, denn in der Naturwissenschaft, die sich der induktiven Methode bedient, kann man kaum Irreversibilität und auf keinen Fall Endgültigkeit feststellen. Durch naturwissenschaftliche Methoden läßt sich nur sagen, daß nach dem jetzigen Stand der Technik und wenn ich richtig gemessen habe, dieser Vorgang irreversibel ist, und insofern ist das endültig."

  27. BONELLI (1994) 57: "... der Versuch gemacht wird, neue, weniger empirische, sondern exaktere und damit auch zweifelsfreiere Todeskriterien zu suchen."

  28. G. PERICO, art. "Trapianti (umani)", in: Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale diretto da Leandro Rossi e Ambrogio Valsecchi con la collaborazione di 61 specialisti, Roma 41976, 1168.

  29. BONELLI (1994) 61 s.: "Nur wenn der Verlust eines Organs auch zum Verlust von Integration und Identität führt, kann vom Tod eines Lebewesens gesprochen werden, weil dann auch das abgeschlossene Ganze zerfällt (...) Bei der Feststellung des Todes werden keine spezifischen Einzelfunktionen von Organen oder des Geistes betrachtet, sondern der Organismus als abgeschlossene Ganzheit in seiner Integrationsfähigkeit und seiner Identität durch die Zeit."

  30. D'AGOSTINO (1996) 187.

  31. Cf. D'AGOSTINO (1996) 188.

  32. Vedi qui l'argomento (lettera c) per la bioetica dell'embrione in: D'AGOSTINO (1996) 142.

  33. D'AGOSTINO (1996) 197.

  34. Vedi nel Corriere della Sera del 13 ott. 1997, p. 12, un esempio: "Israele, il cuore di un bambino ebreo trapiantato su una bimba araba. Oltre la guerra -Yval, otto anni, è morto venerdì investito da un'auto. Reina, tre anni, soffriva di una grave malformazione".

  35. Cf. C. SCHWARZ, Transplantationschirurgie, Wien 1994 (= IMABE-Studie, wissenschaftliche Schrfitenreihe des IMABE - Institut für medizinische Anthropologie und Bioethik Nr. 2), 11. "Grazie" a Maria Theresia, n'l caso dubbio, il chirurgo non è obbligato a informarsi faticosamente sulla questione della volontà del donatore morto cerebralmente.

  36. Cf. A. TESNIÈRE, Où est l'éthique?, in: Ètudes (Paris), vol. 385, n. 5 (nov. 1996) 482.

  37. SEIFERT (1995) 78: "Der menschliche Tod ist, soweit er medizinisch feststellbar ist, das vollständige und irreversible Erlöschen aller für den Organismus als Ganzen grundlegenden biologischen Lebensfunktionen inklusive und vor allem der Atmung und der Herztätigkeit sowie des gesamten Gehirns."


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