Nel messaggio per la celebrazione del 2014 Papa Francesco annuncia che Giovanni Paolo II sarà patrono delle Giornate mondiali

Il contagio della gioia

"È molto triste vedere una gioventù sazia ma debole", incapace di "respingere le tante offerte a basso prezzo" che le vengono proposte. È necessario che i giovani imparino a riscoprire il coraggio della felicità, della gioia e della sobrietà.
Lo scrive il Pontefice nel messaggio per la Giornata mondiale della gioventù 2014, il primo dei tre messaggi dedicati alle beatitudini evangeliche che scandiranno nei prossimi anni l'itinerario di preparazione al raduno internazionale in programma nel 2016 a Cracovia. Il Santo Padre tra l'altro annuncia la sua decisione di proclamare Giovanni Paolo II patrono delle giornate mondiali delle quali è stato l'iniziatore.
Nel messaggio, il Papa ricorda ai giovani che Gesù ha mostrato il cammino da seguire, incarnando le beatitudini in tutta la sua vita: vivere le beatitudini oggi è una vera e propria sfida a seguire Cristo andando contro corrente e testimoniandone la novità rivoluzionaria.
Papa Francesco spiega quindi cosa significa essere poveri in spirito, entrando nel cuore del tema della prossima Giornata: scegliere "una via di spogliazione e di povertà", quella stessa scelta da Gesù. E il Pontefice mostra come esempio da seguire su questa strada, san Francesco d'Assisi. I giovani cristiani quindi sono chiamati "ad abbracciare uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà".
Il Papa sottolinea poi il legame profondo tra il tema della Giornata di Rio - "Andate e fate discepoli tutti i popoli" - e la beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, spiega, "la povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il Regno di Dio si diffonda"; spesso "dai cuori più semplici scaturisce la gioia autentica che è il motore stesso dell'evangelizzazione". Il Santo Padre ricorda infine il trentesimo anniversario della consegna ai giovani della croce del giubileo della redenzione, che ricorrerà il prossimo 22 aprile. "Proprio a partire da quell'atto simbolico di Giovanni Paolo II - scrive - iniziò il grande pellegrinaggio giovanile che da allora continua ad attraversare i cinque continenti".

Il testo integrale del messaggio pontificio



(©L'Osservatore Romano 7 Febbraio 2014)
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Il rapporto dell'Onu su media

Non giova a nessuno

"Gli abusi sessuali sui minori sono un peccato e un crimine, e nessuna organizzazione deve essere riluttante nel rimarcarlo con forza", scrive suor Mary Ann Walsh, portavoce dei vescovi statunitensi sul blog della Conferenza episcopale. "La Chiesa cattolica - prosegue Walsh, ricordandone l'impegno decennale - ha sicuramente fatto più di ogni altra organizzazione internazionale per affrontare il problema, e continuerà a farlo". Walsh, però, è ferma nel criticare il rapporto dell'Onu che, mischiando gli abusi con le posizioni della Chiesa in materia di aborto e contraccezione, provoca una colpevole sovrapposizione di piani.
"Malauguratamente il rapporto si è indebolito da solo includendo obiezioni sul magistero cattolico in materia di matrimonio omosessuale, aborto e contraccezione. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 difende la libertà di religione, il che sicuramente include anche la libertà della Chiesa ai suoi insegnamenti". Non si comprende bene - chiosa Walsh - se la preoccupazione delle Nazioni Unite siano i bambini, o le battaglie culturali.
"Che la Chiesa cattolica abbia gestito in modo errato, fino alla tragedia, la vicenda della pedofilia nei propri ranghi, ai vertici, nei palazzi, nelle parrocchie e nei seminari, è verità storica assodata" esordisce Gianni Riotta su "La Stampa". Così se il rapporto della commissione Onu per i diritti dei minori "arriva opportunamente a stigmatizzare il grande scandalo", il testo però "non persuade nel tono superficiale da magazine alla moda, dove con nonchalance questioni controverse come aborto, contraccezione, identità sessuale uomo-donna, vengono gettati nello stesso canovaccio con la pedofilia. Come se un piccolo parroco di provincia, immaginate un pretino come nel vecchio romanzo Diario di un curato di campagna di Bernanos, che dal pulpito condanni l'interruzione di gravidanza e raccomandi prudenze con le contraccezioni, sia per questo, d'istinto, sospettabile di pedofilia, da tenere lontano dagli scolari del catechismo".
Tra le molte verità - prosegue Riotta - c'è " un eccesso di giacobinismo moralistico che indebolisce il rapporto Onu. Come se si dovessero pagare pegni al Codice del Politicamente Corretto reso particolarmente rigido dal linguaggio burocratico da Palazzo di Vetro". E continua: "Confusa appare l'identità tra Chiesa Stato Sovrano e Chiesa religione, come se un parroco pedofilo americano, italiano o brasiliano rispondessero solo al Papa delle proprie colpe, e non anche ai tribunali del proprio Paese". Per ricordare, poco più avanti, che "la Chiesa ha collaborato con il Rapporto al massimo livello - con il Procuratore Capo nei processi contro la pedofilia fino al 2012, il vescovo Charles J. Scicluna - sperando servisse da stimolo esterno all'opera di riforma morale. La gelida prosa Onu ha tutti i timbri della burocrazia contemporanea a posto, ma priva di calore e rispetto, si rivela purtroppo poco utile contro i mali che, a parole, intende combattere".
Simili, su "la Repubblica", le valutazioni di Enzo Bianchi, che parte dalla certezza di come il documento riaccenda "doverosamente l'attenzione sugli abusi verso i minori da parte di persone - preti, religiosi, educatori - con responsabilità all'interno della Chiesa cattolica". Con rammarico il priore di Bose constata però "che sovente si privilegiano accenti scandalistici e si ignorano o sminuiscono dati di fatto o iniziative che tentano di porre rimedio e di sanare questa orribile piaga".
Il rapporto, continua Bianchi, "non sembra aiutare l'assunzione di responsabilità e consapevolezze, né sembra riconoscere quanto fatto in questi ultimi anni - e non solo negli ultimi dieci mesi - dalla Chiesa cattolica per sanare una ferita che resta insanabile per le vittime ma che deve essere medicata, come doverosa prevenzione affinché non si ripetano abomini simili. Il documento non aiuta perché sembra assimilare in toto Vaticano e Chiese locali, singoli preti, vescovi e intere conferenze episcopali, comportamenti di istituzioni religiose risalenti a decenni addietro ed eventi di attualità; non aiuta perché pare ignorare gli sforzi compiuti e attenersi solo ai disastri causati; non aiuta perché inserisce nella doverosa stigmatizzazione della piaga della pedofilia altre questioni etiche che attinenti non sono, dall'aborto all'omosessualità. Come si può, parlando di difesa dei minori, passare a rimproverare alla Chiesa cattolica la sua posizione fermamente contraria all'aborto? E cosa ha a che fare il tipo di approccio teologico o pastorale all'omosessualità con la depravazione della pedofilia? E a quale altro Stato membro od osservatore presso l'Onu si chiede esplicitamente di cambiare la propria Costituzione o il Codice civile o penale, come si fa con la Santa Sede pretendendo che modifichi il Codice di diritto canonico?".
L'impressione che si ha leggendo il rapporto - scrive ancora Bianchi - "è che si sia voluto affrontare un male certamente detestabile e tenace non confrontandosi con l'istanza ecclesiale in modo franco e costruttivo in vista di una comune battaglia per estirparlo, ma reiterando condanne già espresse, ignorando cambiamenti avvenuti e considerando più o meno esplicitamente l'interlocutore cattolico come una controparte che non collabora alla soluzione del problema ma lo accresce a causa del suo stesso approccio etico". Insomma, "non giova a nessuno - conclude il priore di Bose - procedere con schemi ideologici su simili tragedie: non certo alle vittime, né alla Chiesa, ma nemmeno alla società civile che evita in tal modo di porsi interrogativi fondamentali su un'etica condivisa e sulla degenerazione di un clima che disprezza l'altro e offende il più debole".
Qualche perplessità anche per John L. Allen del "Boston Globe". "Dire che il Vaticano non abbia fatto nulla per combattere gli abusi contro i minori è terribilmente scorretto. Prima da cardinale e poi come Papa, Ratzinger ha fatto di tutto per intervenire con fermezza, anche se non tutti i vescovi cattolici hanno preso sul serio le sue direttive". E conclude: "La causa della protezione dei minori dovrebbe essere sostenuta da tutti indistintamente, che si tratti di conservatori o liberali, laici o credenti. Chiunque dovrebbe essere d'accordo sul fatto che la difesa dei bambini è una priorità assoluta. L'Onu però ha deciso di confondere le acque mescolando il tema degli abusi con una battaglia culturale partigiana".



(©L'Osservatore Romano 7 Febbraio 2014)
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Crescente rischio di destabilizzazione per i Paesi di accoglienza

Più di tre milioni di profughi siriani all'estero

Sono ormai più di tre milioni i profughi siriani nei Paesi confinanti, secondo quanto affermato ieri da Amin Awad, il coordinatore regionale dell'alto commissariato dell'Onu per i rifugiati. All'interno di tale drammatico contesto - la maggiore emergenza profughi in atto nel mondo che minaccia di destabilizzare i Paesi di accoglienza - si segnala come particolarmente grave la condizione di circa ottomila bambini che sono stati allontanati dalle loro famiglie.
Awad ha precisato che il numero dei rifugiati continua ad aumentare e che i flussi oltre confine non si sono interrotti neppure durante i negoziati della conferenza internazionale Ginevra 2, che ha tenuto la sua prima sessione dal 22 al 29 gennaio e che riprenderà lunedì prossimo.
Alle trattative diplomatiche, del resto, non ha fatto riscontro alcuna diminuzione dei combattimenti sui fronti siriani, così come non è stato possibile finora ottenere dai belligeranti l'apertura di corridoi umanitari per soccorrere i civili bloccati dalla guerra.



(©L'Osservatore Romano 7 Febbraio 2014)
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Dolore di Papa Francesco
per le vittime di un incendio a Buenos Aires

Nove persone, sette vigili del fuoco e due operatori della protezione civile, sono morti ieri a Buenos Aires mentre combattevano contro un incendio in un magazzino, nel quartiere meridionale di Barracas, che ospitava gli archivi di una banca. Al cordoglio del popolo argentino si è unito Papa Francesco, in un messaggio inviato all'arcivescovo di Buenos Aires, Mario Aurelio Poli. "Vorrei trasmettere a tutti - si legge nel messaggio - la mia vicinanza e dire che mi sento molto unito a quanti soffrono e sono abbattuti per un così doloroso evento. In questa triste circostanza, mentre prego per l'eterno riposo dei servitori pubblici morti nel compimento del loro dovere, chiedo a Dio di concedere la sua consolazione e la sua forza alle vittime di una così tragica disgrazia. E che ispiri in tutti sentimenti di solidarietà fraterna, che aiutino ad affrontare questa avversità nel miglior modo possibile". Il Papa rivolge poi "una parola di speranza alle famiglie di quanti piangono perdite tanto dolorose e anche a quanti attendono con fiducia la guarigione dei propri cari".
Invocando l'amorevole protezione di Nostra Signora di Luján, il Pontefice conclude il messaggio impartendo "con grande affetto la confortante benedizione all'amato popolo bonaerense, tanto presente nel mio cuore". Le vittime sono rimaste sepolte nel crollo di un muro del magazzino, costruito nel xix secolo. Ci sono volute dieci squadre di pompieri e diverse ore per domare l'incendio, le cui cause sono ancora ignote. Il Governo argentino ha proclamato due giorni di lutto nazionale.



(©L'Osservatore Romano 7 Febbraio 2014)
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Messa del Papa a Santa Marta

Cosa lasciamo agli altri

Vivere per tutta la vita dentro la Chiesa, da peccatori ma non da traditori corrotti, con un atteggiamento di speranza che ci porta a lasciare un'eredità fatta non di ricchezza materiale ma di testimonianza di santità. Sono le "grandi grazie" che Papa Francesco ha indicato durante la messa celebrata giovedì mattina 6 febbraio nella cappella della Casa Santa Marta.
Il vescovo di Roma ha centrato la sua riflessione sul mistero della morte, a partire dalla prima lettura - tratta dal primo libro dei Re (2, 1-4.10-12) - nella quale, ha detto, "abbiamo sentito il racconto della morte di Davide". E "ricordiamo l'inizio della sua vita, quando è stato scelto dal Signore, unto dal Signore". Era "un ragazzino"; poi "dopo alcuni anni incominciò a regnare", ma era sempre "un ragazzo, aveva ventidue o ventitré anni".
Tutta la vita di Davide è dunque "un percorso, un cammino al servizio del suo popolo". E "così come cominciò, così finisce". Lo stesso, ha notato il Papa, accade anche alla nostra vita che "incomincia, cammina, va avanti e finisce".
Il racconto della morte di Davide ha suggerito al Pontefice tre riflessioni scaturite "dal cuore". Anzitutto ha rilevato che "Davide muore nel seno della Chiesa, nel seno del suo popolo. La sua morte non lo trova fuori del suo popolo" ma "dentro". E così vive "la sua appartenenza al popolo di Dio". Eppure Davide "aveva peccato: lui stesso si chiama peccatore". Però "mai se n'è andato al di fuori del popolo di Dio: peccatore sì, traditore no". Questa, ha detto il Papa, "è una grazia": la grazia di "rimanere fino alla fine nel popolo di Dio" e "di morire nel seno della Chiesa, proprio nel seno del popolo di Dio".
Sottolineando questo aspetto, il Papa ha invitato "a chiedere la grazia di morire a casa: morire a casa, nella Chiesa". E ha rimarcato che "questa è una grazia" e "non si compra", perché "è un regalo di Dio". Noi "dobbiamo chiederlo: Signore dammi il regalo di morire a casa, nella Chiesa". Se pure fossimo "tutti peccatori", non dobbiamo essere né "traditori" né "corrotti".
La Chiesa, ha precisato il Pontefice, è "madre e ci vuole anche così", magari pure "tante volte sporchi". Perché è lei che "ci pulisce: è madre, sa come farlo". Però sta "a noi chiedere questa grazia: morire a casa". Papa Francesco ha poi proposto una seconda riflessione sulla morte di Davide. "In questo racconto - ha notato - si vede che Davide è tranquillo, in pace, sereno". Tanto che "chiama suo figlio e gli dice: io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra". In altre parole Davide riconosce: "Adesso tocca a me!". E poi, si legge nella Scrittura, "Davide si addormentò con i suoi padri". Ecco, ha spiegato il Pontefice, il re che "accetta la sua morte in speranza, in pace". E "questa è un'altra grazia: la grazia di morire in speranza", con la "consapevolezza che questo è un passo" e che "dall'altra parte ci attendono". Anche dopo la morte, infatti, "continua la casa, continua la famiglia: non sarò solo!". Si tratta di una grazia che va chiesta soprattutto "negli ultimi momenti della vita: noi sappiamo che la vita è una lotta e lo spirito del male vuole il bottino".
Il vescovo di Roma ha anche ricordato la testimonianza di santa Teresina di Gesù Bambino, la quale "diceva che, nei suoi ultimi tempi, nella sua anima c'era una lotta e quando lei pensava al futuro, a quello che l'aspettava dopo la morte, in cielo, sentiva come una voce che diceva: ma no, non essere sciocca, t'aspetta il buio, t'aspetta soltanto il buio del niente!". Quella, ha precisato il Papa, "era il demonio che non voleva che lei si affidasse a Dio".
Da qui l'importanza di "chiedere la grazia di morire in speranza e morire affidandosi a Dio". Ma l'"affidarsi a Dio - ha affermato il Pontefice - incomincia adesso, nelle piccole cose della vita e anche nei grandi problemi: affidarsi sempre al Signore. Così uno prende questa abitudine di affidarsi al Signore e cresce la speranza". Dunque, ha spiegato, "morire a casa, morire in speranza" sono "due cose che ci insegna la morte di Davide".
Il terzo pensiero suggerito dal Papa è "il problema dell'eredità". In proposito "la Bibbia - ha precisato - non ci dice che quando morì Davide sono venuti tutti i nipoti, i pronipoti a chiedere l'eredità!". Ci sono spesso "tanti scandali sull'eredità, tanti scandali che dividono nelle famiglie". Ma non è la ricchezza l'eredità che lascia Davide. Si legge infatti nella Scrittura: "E il suo regno si consolidò molto". Davide, piuttosto, "lascia l'eredità di quarant'anni di governo per il suo popolo e il popolo consolidato, forte". A questo proposito il Pontefice ha ricordato "un detto popolare" secondo cui "ogni uomo deve lasciare nella vita un figlio, deve piantare un albero e deve scrivere un libro: e questa è l'eredità migliore". Il Papa ha invitato ciascuno a chiedersi: "Che eredità lascio io a quelli che vengono dietro di me? Un'eredità di vita? Ho fatto tanto il bene che la gente mi vuole come padre o come madre?". Magari non "ho piantato un albero" o "scritto un libro", "ma ho dato vita, saggezza?". La vera "eredità è quella che Davide" rivela rivolgendosi in punto di morte a suo figlio Salomone con queste parole: "Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie ed eseguendo le sue leggi".
Così le parole di Davide aiutano a capire che la vera "eredità è la nostra testimonianza da cristiani lasciata agli altri". Ci sono infatti alcune persone che "lasciano una grande eredità: pensiamo ai santi che hanno vissuto il Vangelo con tanta forza" e proprio per questo "ci lasciano una strada di vita, un modo di vivere come eredità".
In conclusione, il Papa ha riepilogato i tre punti della sua riflessioni trasformandoli in preghiera a san Davide, perché "conceda a tutti noi queste tre grazie: chiedere la grazia di morire a casa, morire nella Chiesa; chiedere la grazia di morire in speranza, con speranza; e chiedere la grazia di lasciare una bella eredità, un'eredità umana, un'eredità fatta con la testimonianza della nostra vita cristiana".



(©L'Osservatore Romano 7 Febbraio 2014)
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